La fibromialgia è un “porto delle nebbie”, cioè uno di quei luoghi in cui si approda ma contemporaneamente ci si perde. Fa parte di quei disturbi dominati da un dolore che non deriva da lesioni o processi infiammatori chiaramente localizzati; in questo caso il dolore, riferito alle masse muscolari o alle zone “di tiraggio” muscolo-tendinee, somiglia a quello di un “indolenzimento” di varia qualità, associato ad una sensazione di contemporanea mancanza di tono e di tensione, come se il muscolo fosse rigido ma allo stesso tempo poco forte. Il fatto che non ci siano cause muscolari o articolari identificate, ha portato a passare la palla ai reumatologi (che la collocano però ai margini delle malattie di loro pertinenza) o agli psichiatri. Nel tempo, effettivamente, le cure efficaci sono risultate tutte cure “anche” psichiatriche, e soprattutto coincidono con le cure per i disturbi d’ansia e la depressione. Inoltre, chi soffre di fibromialgia soffre, soffrirà e ha sofferto praticamente sempre anche di una sindrome ansiosa o depressiva.
Ne parliamo con il Dott. Matteo Pacini, specialista psichiatra del Centro Medico Visconti di Modrone.
Questi dati non sono semplici da capire. Intanto le malattie con dolore costante spesso sono complicate anche da sindromi depressive. D’altra parte, è anche vero che, specie nelle fasce di età avanzate, il sintomo principale che preannuncia la depressione è il dolore (da quello alla testa a quello che si attribuisce inizialmente ad acciacchi già noti, ad una generale aumentata facilità al dolore). E’ quindi facile che, dentro una depressione o un disturbo d’ansia, ci sia anche un sintomo doloroso. Questo però non è fibromialgia. La fibromialgia sostanzialmente ha il suo connotato più specifico nella possibilità di evocare il dolore facendo pressione su alcuni punti, detti “punti vulnerabili” (tender points). In corrispondenza di questi punti non c’è niente di particolare, ma sembrerebbe che il cervello produca in risposta una sensazione dolorosa, “come se” ci fosse qualcosa in quel punto. Così potrebbe accadere, appunto nel senso di una soglia alle sensazioni dolorose abbassata, che il cervello produca dolore in determinate zone, anche se poi niente in queste zone segnala un difetto reale di movimento o un cambiamento del dolore con la posizione, o altri segni che indichino la presenza di qualche processo patologico in quell’area.
Come dicevamo, non è l’unico disturbo doloroso ad origine nervosa, esistono anche i “dolori centrali” che non hanno questa localizzazione muscolare, esistono sindromi come il colon irritabile, che comprende anche dolori o indolenzimento o tensione in zona addominale, esiste la “gastrite nervosa”, in cui c’è un dolore riferito in corrispondenza della bocca dello stomaco, o anche la sindrome della lingua che brucia, in cui dolori e altre sensazioni sgradevoli sono localizzate nella zona della bocca/lingua.
Somiglia alla fibromialgia anche la sindrome “della stanchezza cronica”, in cui però non si tratta tanto di dolore quanto di affaticamento facile, spossatezza. Nella fibromialgia è difficile dire se la sofferenza generale, che a volte si osserva, sia legata direttamente alla dolorabilità dei muscoli o se invece la dolorabilità sia uno dei sintomi. Nelle forme più sfumate ad esempio è tipico che la persona non sia proporzionalmente bloccata o ferma a causa del dolore, ma anzi lamenti spesso di sentire dolore quando non è attiva.
In conclusione, il dolore psichiatrico si può suddividere in due tipi. Il dolore come tipo di sintomo, che accompagna o preannuncia la depressione o i disturbi d’ansia. In questo caso, ad esempio, alcune persone  parlano di dolore anziché di stato emotivo, cioè dicono di sentir male, di aver male, ma è una modalità di esprimere un malessere con parole ritenute accettabili o con le parole che sanno usare. Persone che hanno difficoltà ad esprimere le emozioni a parole, o che non concepiscono i sintomi mentali, tenderanno sempre a parlare in termini “corporei” e quindi, ad esempio, di dolore in una parte del corpo, o dappertutto, per significare un malessere, tristezza, angoscia, malinconia, dispiacere, etc.
Il secondo tipo di dolore psichiatrico è quello in cui il cervello produce anomale sensazioni corporee, dolore incluso, che può essere localizzato, oppure spostarsi da una parte all’altra, o ancora avere una localizzazione incerta. In questi casi la persona, per quanto possa anche essere depressa o ansiosa, ha anche una sofferenza legata al dolore stesso e può esserne condizionata nel tentativo di trovare sollievo al dolore.
Quando si ricevono quindi diagnosi incerte, nebbiose, in cui il dolore “potrebbe”, “in parte”, essere dovuto a condizioni magari banali, tipo una cervicale o un’artrosi che già però c’era prima, o sono genericamente etichettate come patologie “nervose” o “con componente nervosa”, è bene non rimanere nel vago e fare una diagnosi più precisa. Soprattutto però è bene non rimanere nel “nulla” terapeutico, perché quando parliamo di “nervi” o di “psiche” stiamo parando di cervello, di cure concrete e di diagnosi che non devono mai essere solo “per esclusione”, ma vanno riconosciuti i sintomi mentali che spesso ci sono e non sono neanche così mascherati.
Fonte: Tgcom24